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440 | ATTO PRIMO |
Pantalone. El gh’ha rason. El novizzo ha da star arente la novizza. Le favorissa, le se retira un pocherto più in zo, e le ghe daga un poco de liogo.
Eleonora. Io son pronta; basta che questa femmina si tiri più in là.
Cate. Oh, in verità che sta femena no se move dalla so cariegaa.
Beatrice. Via, Checca, sedete voi sulla mia sedia, che donna Sgualda mi darà la sua e anderà a seder in un’altra.
Sgualda. Dove che la vol che vaga mi, la pol andar ela.
Pantalone. Via, siore, bisogna ceder el liogo a chi lo merita.
Sgualda. Oe! A chi lo merita? Ben, se no lo merito, no lo voggio. Zermanab, a revèderse. (s’alza)
Checca. Dove andeu?
Sgualda. No sentìu? Cedo el liogo a chi lo merita. Sior compare comanda, e ti ti tasi; bisogna che ti sappi, come che ti sta.
Toni. Come! Cossa vorressi dir?
Sgualda. Eh, m’intendo mi, co digo torta1 Lustrissima, cedo el liogo a chi lo merita, la se comodi. Sentì, sa, Checca, no me invidar mai più. In casa toa no ghe metto più ne piè, nè passo. A una donna della mia sorte farghe sto boccon de affronto? Se fa più conto de una forestac, che no xe d’una zermana! In malora quanti che sè; pare matto, fia senza cervello, compare spilorza, novizzo spiantà, lustrissima de favetta2. (parte)
Beatrice. Io credo che colei sia pazza.
Cate. Eh, cara siora, la pazza la gh’ha più cervello de ela.
Eleonora. Come parlate?
Cate. Colla bocca.
Eleonora. Orsù, stando più qui, si pone a rischio il decoro. Sposa, addio, con queste femmine impertinenti non ci voglio più stare. (parte)
Cate. Polentina, polentina.
Beatrice. Cos’è questa polentina?