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me comique, mais s’il n’est pas égayé par des situations intéressantes et agréables il pourroit facilement devenir ennuyeux». Il Destouches è però ricordato nella Premessa; ma nè questa nè le Memorie fanno per la D. v. il nome del Molière; eppure nella gara delle due servette alla conquista di Brighella (I 13) appare evidente un ricalco molieresco dal Festin de pierre. (II. 5. 6) (Rabany, op. cit. p. 337; Maddalena, Scene e figure molieresche imitate dal Gold. Riv. teatr. it. Vol. 10 [1905], pp. 57-59). Difetto di memoria potrà invece scorgersi nella notizia «la pièce fit tout l’effet que je pouvois desirer» (Mem. ivi), l’esito lieto cioè che ogni autore s’augura, mentre nel Complimento di Rosaura, epilogo alle sedici, il G. ammoniva sè stesso «la Volubile dovevi farla megio se savevi» e più sotto, detto dell’Avventuriere «sta comedia ha piasso assae», aggiungeva «la Volubile mo gnente». Un fiasco dunque, certo però men meritato d’altre che nel ciclo famoso ebbero miglior sorte. Neanche gli studiosi del teatro goldoniano vollero essere a questa D. v. giudici severi. Fu rivelato si giustamente dal Toldo (Molière en Italie. Journ, of. comp. literature, 1903, p. 241) che l’ingenuità di Diana passa il limite del credibile, e nel disegno sbagliato di questa figura il Rabany (op. cit. p. 206) scorge traccie della Commedia dell’arte e n’arguisce quanto fosse ancora imperfetta la riforma, ma venta nel carattere della protagonista rilevano e lodano il Salfi (Saggio storico-critico della comm. it. Mil. 1829, p. 48), il Tambara (La Locandiera con introduzione e commento, 1901, p. 15). La comprende il Royer (Hist. univ. du Théàtre. Paris, 1870, vol. IV, p. 292) tra le commedie che offrono qualche buon particolare nell’osservazione di costumi, il Perrens (Hist. d. la litt. it. Paris, 1867) tra i lavori buoni, anzi eccellenti, se Goldoni avesse saputo congiungere allo studio de’ caratteri troppo episodici la gaiezza che nel Molière n’è parte integrante. Di questa D. v. R. Bracco conforta la sua tesi che «il teatro goldoniano non è quasi mai una requisitoria alla femminilità», (La donna, 20 febbr. ’07) e aggiunge: «Anche quando un po’ di critica fa capolino — come nella D. v. — la grazia onde l’autore arguto costruisce il tipo preso di mira attenua scenicamente i torti deplorati, sicchè la critica fustigatrice ha carezze ed ha moine da innamorato». Ma in questa Rosaura non avvertì davvero le note simpatiche, delle quali femmine capricciose non vanno sempre prive. Fu forse più omaggio al buon senso dei tre pretendenti che alla morale in fin di commedia (come vuole il Merz), se Rosaura resta zitella. Ma, sia questa opera umanitaria o castigo, non ne tien conto alcuno chi, citando a orecchio il titolo della commedia, ne fa senz’altro una Moglie capricciosa (Aliati, C. G. L’Ordine. Como, 28 febbr. 1907). Qual documento è, in una, satira della moda femminile, la D. v. fu messa a contribuzione da A. V. Bisconti (La dama e la sua toletta nel 700. Natura ed arte. VIII, n.i 19, 20). E alla cerchia degli studiosi pare davvero limitata del tutto la sua fortuna, perchè le — ahi troppo scarse — fonti ed repertori de’ nostri teatri non ne rammentano altre esecuzioni dopo la recita (le recite?) di Venezia. Meritava certo sorte migliore. Pure si tradusse una volta, in ispagnolo (La muger variable. Barcelona. J. F. Pifferer).
Alla lunga nevrastenia (V. Premessa) che tenne il Goldoni inoperoso per ben cinque mesi del 1754, prima a Modena, poi a Milano, si riferiscono due sue lettere (Racc. Urbani, p. 80; Masi, p. 116): più diffusamente ne discor-