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LA DONNA VOLUBILE | 395 |
versazione, avete detto: troppe cose, troppe cose, e mi avete piantato.
Rosaura. Ho voluto dire ch’io sono debole di memoria, che se mi dite troppe cose ad un tratto, non le terrò a mente: sono andata subito a disabbigliarmi, ed eccomi quale voi avete mostrato desiderarmi.
Anselmo. Cara signora, non so che dirvi. Mi spiace l’equivoco seguito; ma io sono un galantuomo. Ho promesso alla signora Diana, e le devo mantenere la parola.
Rosaura. Io sono la sorella maggiore, e tocca a me a maritarmi prima.
Anselmo. (Per dirla, ora che la vedo rassegnata a vivere a modo mio, mi pento quasi d’averla lasciata). (da sè)
Rosaura. Signore, io sarò ubbidiente: viverò a modo vostro.
Anselmo. Ma come volete ch’io manchi a vostra sorella?
Rosaura. Ecco mia sorella.
SCENA IX.
Diana in guardinfante, e detti
Anselmo. Chi siete voi, signora?
Diana. Non mi conoscete? Son quella a cui avete dato l’anello.
Anselmo. La signora Diana?
Diana. Sì, signore.
Anselmo. (Oh cosa vedo!) (da se) Perchè vi siete cacciata dentro in quel laberinto?
Diana. Le cameriere m’hanno vestita così, perchè ho da essere sposa.
Anselmo. Sposa di chi?
Diana. Di voi.
Anselmo. Di me? Chi son io? Qualche quagliotto, che per prendermi vi siete messa la gabbia?
Diana. Io non vi capisco.
Anselmo. La capisco io. Non fate più per me. (Maledetto quel campanone, non lo posso vedere). (da sè, parte)