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394 | ATTO PRIMO |
SCENA VIII.
Rosaura vestita modestamente, ed Anselmo.
Rosaura. Serva sua. E ella che mi domanda?
Anselmo. Signora... siete voi?... Non vi conosco bene.
Rosaura. Ha parlato con me e non mi conosce?
Anselmo. Siete figlia del signor Pantalone?
Rosaura. Sì, signore.
Anselmo. Siete la maggiore o la minore?
Rosaura. Son la maggiore, per servirla.
Anselmo. Compatitemi, non vi conosceva. Che cosa avete fatto della vostra botte?
Rosaura. Me la son levata, perchè a voi non piaceva.
Anselmo. E le pietracce che avevate al collo, dove sono?
Rosaura. L’ho gettate via, perchè non vi aggradivano.
Anselmo. Perchè avete lasciato l’abito da madama?
Rosaura. Mi son messo questo, per piacer a voi.
Anselmo. Per piacere a me? Che v’importa il piacermi o il dispiacermi? Io ho promesso al signor Pantalone di sposare l’altra vostra sorella.
Rosaura. Spero che non farete a me questo torto.
Anselmo. Se volevate ch’io prendessi voi, dovevate venire vestita così, da figliuola propria e civile, e non mascherata da Lugrezia Romana.
Rosaura. Io faccio tutto quello che vogliono. Mi ero messi quegli abiti per far a modo delle cameriere; per altro il mio genio è questo. Io vesto quasi sempre così.
Anselmo. Ma quei ricci e quella polvere?
Rosaura. Non ho avuto tempo di pettinarmi. Domani mi vedrete assettata nella mia solita semplicità.
Anselmo. Per quel che ho inteso l’altra volta che ho parlato con voi, vi piacciono le conversazioni.
Rosaura. Oh! il ciel me ne liberi. Sono anzi di spirito solitario. Mi piace stare nella mia camera.
Anselmo. E pure, quando ho principiato a voler proibirvi la con-