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388 | ATTO PRIMO |
SCENA III.
Strada.
Il Dottore e Florindo.
Dottore. Tant’è, ho data la parola al signor Pantalone.
Florindo. Perdonatemi, tutto farò; ma sposare la signora Rosaura, no certamente.
Dottore. Perchè dite così? So pure che una volta avevate dell’inclinazione per lei.
Florindo. È verissimo: una volta aveva qualche passione per lei; ma ho scoperto il suo carattere, e non m’impiccierei più con essa per tutto l’oro del mondo.
Dottore. Che cosa v’ha mai fatto?
Florindo. È troppo volubile. Ora dice una cosa, ed ora ne dice un’altra. Ascolta tutti, fa caso di tutto, e quando le viene in capo qualche grillo, fa sgarbi, volta le spalle, e non si sa il perchè.
Dottore. Queste sono freddure. Quando la gioventù fa all’amore, per lo più succede così; basta, io ho data la parola al signor Pantalone, e voi non dovete farmi rimanere un fantoccio.
Florindo. Caro signor padre, vi prego, dispensatemi.
Dottore. Non v’è dispensa. Io sono padre, voi siete mio figliuolo, m’avete ad ubbidire.
Florindo. Basta, lo farò per ubbidirvi.
Dottore. Bravo, così mi piacete. Il signor Pantalone non ha altro che queste due figlie, e dopo la sua morte elleno si divideranno la pingue di lui eredità.
Florindo. Io non intendo di disgustarvi.
Dottore. (Mio figliuolo veramente è un buon ragazzo). (da sè)
SCENA IV.
Pantalone e detti.
Pantalone. Oh diavolo! Xe qua el Dottor. Come faroggio a destrigarme?
Dottore. Oh, signor Pantalone, giungeste opportunamente, poichè m’era incamminato verso la casa vostra, per dirvi che mio