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LA DONNA VOLUBILE 383

Anselmo. Non siete una serva del signor Pantalone?

Diana. No signore, io sono sua figlia.

Anselmo. Ah, voi siete la figlia del signor Pantalone; e chi era quell’altra signora, che ha parlato con me?

Diana. Mia sorella maggiore.

Anselmo. Cara ragazza, compatite l’error mio. Quella era vestita magnificamente; onde ho preso voi per la cameriera.

Diana. Ella è vestita meglio, perchè dev’essere sposa.

Anselmo. Ah, sì sì, l’intendo. (Quando si vuol vendere, si mette la mercanzia in figura. Tutto falso, tutto falso. Quanto mi piace più l’idea di questa giovanetta!) (da sè)

Diana. (Mi guarda, e par che rida; non vorrei avere la faccia tinta). (da sè)

Anselmo. E voi, ragazza mia, non vi farete sposa?

Diana. Io sposa? Signor no.

Anselmo. Vostro padre che vuol fare di voi?

Diana. Mi vuol dar marito.

Anselmo. Oh bella! marito e sposo non è tutt’uno?

Diana. Tutt’uno?

Anselmo. Sì, è tutt’uno.

Diana. Ora capisco. Signor sì, mi farò sposa.

Anselmo. Avete mai fatto all’amore?

Diana. Signor no. Non sono mai andata sul tetto.

Anselmo. Come sul tetto?

Diana. Le gatte, quando fanno all’amore, vanno sul tetto; io non ci sono mai stata.

Anselmo. (Questa è una ragazza semplice, questa sarebbe il caso per me). (da sè) Come avete nome?

Diana. Diana.

Anselmo. Cara la mia Dianina, volete ch’io vi trovi uno sposo?

Diana. Non s’incomodi, me lo troverà mio padre.

Anselmo. Sentite, se volete, io vi farò mia sposa.

Diana. Bisognerà che m’insegnate come si fa.

Anselmo. Sì, v’insegnerò. (Non ho creduto, che si potesse trovare in città una ragazza così innocente). (da sè) Tenete quest’anellino.