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LA DONNA VOLUBILE | 381 |
Rosaura. Favorisca, è ella il signor Anselmo?
Anselmo. Sono io, per servirla.
Rosaura. Vuole accomodarsi?
Anselmo. Oh, io non sono stanco. Ella sarà stanca, portando quel diavolo di peso addosso.
Rosaura. Questo è il vestire che si pratica qui da noi.
Anselmo. Io non ho mai veduto una cosa simile. Favorisca, quelle gioie quanti mila ducati varranno?
Rosaura. Oh, non vagliono tanto. Costeranno al più tre zecchini.
Anselmo. Tre zecchini? Di che cosa sono?
Rosaura. Sono pietre false.
Anselmo. Diavolo! Pietre false? E perchè portare al collo le pietre false?
Rosaura. Perchè si usano.
Anselmo. (Dove si usano le cose false, non v’è da far bene). (da sè)
Rosaura. Ho anche delle gioie buone; ma qualche volta porto le false, per non consumarle.
Anselmo. Ma invece di portar le false, sarebbe meglio non portar niente.
Rosaura. Si usa così.
Anselmo. Le gioie false si usano, quei ricci si usano, quella polvere bianca si usa, quei piastrelli neri si usano, quei veli si usano, quel gran calderone si usa. Ella usa, io non uso. Qui si usa, da noi non s’usa. Signora mia, vi domando scusa. (in atto di partire)
Rosaura. Sentite: io sinora mi sono uniformata al costume delle persone, con cui ho dovuto trattare; ma se avessi a maritarmi, cercherei d’adattarmi all’uso del paese e al piacer del marito.
Anselmo. Signora, per dirvela, se io avessi l’onore di essere vostro marito, vorrei prima che facessimo una dozzina di patti fra voi e me.
Rosaura. Mi troverete facilissima a condiscendere.
Anselmo. Prima di tutto, quella capponaia no certamente. Io ho un’antipatia con quella macchina, che mi si gela il sangue quando la vedo. (del guardinfante)