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NOTA STORICA
Prima che altri autori attingessero dalla sua vita qualche argomento adatto al teatro, pensò Goldoni stesso a porre in iscorcio sulle scene, in quel terribile anno delle 16 commedie, se non proprio la sua figura, almeno qualche cosa di sè, un carattere predominante dell’indole sua e dei suoi casi nella giovinezza; e scrisse l’Avventuriere onorato. Dal padre parve il nostro autore aver ereditato lo spirito irrequieto, che fin dalla fanciullezza lo trasse a errare di luogo in luogo, dall’una all’altra occupazione, e non trovò posa che in Francia, per ragione sopra tutto della vecchiezza. Non è già questo un segno indispensabile di scrittore drammatico, benchè giovasse al Goldoni tanta esperienza di persone e di cose: ma direi quasi un segno dei tempi, che si può ritrovare negli uomini nuovi in Italia nella seconda metà del Cinquecento e nel Seicento.
Nel Settecento, il secolo delle confessioni, il buon Dottor veneziano ebbe più d’ogni altro scrittore l’animo pronto alle espansioni e alle confidenze. Egli si compiace di conversare col pubblico, sia quello degli spettatori, sia dei lettori, di manifestare i propri gusti e i propri pensieri, di raccontare le proprie vicende: così come certi suoi personaggi, che si rivelano, parlando con altri o da soli, fin troppo. Tuttavia non bisogna scambiare Goldoni per un ingenuo, il quale anzi nelle sue stesse Memorie lasciò tante cose nella penombra e portò con sè morendo più di un segreto. Si diverte a ripetere cento volte quello che gli pare e piace, nel proemio all’edizione Bettinelli, nelle lettere di dedica e nelle prefazioni delle singole commedie, nelle memorie italiane premesse ai vari volumi dell’edizione Pasquali, nelle epistole in versi e nei poemetti che andavano ad arricchire le raccolte veneziane, infine nei “Mémoires„ che sono la consacrazione, meglio che gli annali, del nuovo teatro comico, e l’ultima sua opera.
Chi del resto cercasse documenti per la biografia goldoniana nell’Avventuriere onorato, resterebbe deluso: questa commedia servì soltanto all’autore per difendersi dalla lingua di qualche maledico, che non aveva mancato di mormorare sull’esistenza passata del grande commediografo, piena d’accidenti bizzarri e mal noti. È bene avvertir subito che il nome di avventuriere non aveva ancora a quel tempo il significato sinistro che assunse più tardi; e se ne adornavano comunemente gli eroi di tutti i romanzi. Invece riesce strano che il Guglielmo della commedia si mostri ben poco onorato, anzi, secondo la coscienza nostra moderna, indegno d’onore. Questo falso medico e falso avvocato, questo mercante semifallito e fuggitivo, che s’insedia sotto falso nome nella casa d’un povero cittadino e per quattro mesi, disprezzato fino dai servi, si pasce all’altrui mensa, che accetta denaro dalle donne, che tradisce una giovane innamorata, che infine fonda la sua fortuna sulle ricchezze d’una vedova capricciosa, è lontano dalla morale insegnata e coltivata nel secolo stesso del Muratori, del Parini, del Filangieri, e lontano dal ritratto a noi familiare di Carlo Goldoni (P. Molmenti, La Storia di Venezia nella vita privata ecc., P. 3.a, il Decadimento, Bergamo, 1908, p. 43 1 ). Certi episodi innocenti nelle memorie goldoniane ricevono una luce men buona passando nella commedia: per colpa, credo anche, della difficoltà del soggetto e dell’arte, che qui venne meno. Così