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Eleonora. (Come mai lo riceverò?) (da sè)

Livia. Su via, seguite ad essere valorosa. Ricevetelo voi. Io mi ritiro, per lasciarvi in libertà di pariare come il cuore vi detta. Non voglio che la mia presenza vi abbia a dar soggezione. Non voglio che abbiate a dire, che siete stata da me violentata. Eccolo; parlategli come v’aggrada, e nuovamente pensate, che dalle vostre parole dipende la sua fortuna. (via)

Eleonora. Ah! fin che non lo vedevo, non mi pareva tanto difficile l’abbandonarlo; ora colla sua vista mi si accresce il tormento.

SCENA IX.

Guglielmo e detta.

Guglielmo. Coss’è, patrona? Tanto la se fa desiderar?

Eleonora. Eh, signor Guglielmo, non credo poi che mi abbiate tanto desiderata.

Guglielmo. Xe tre ore che aspetto.

Eleonora. Ed io sono tre ore che piango.

Guglielmo. Pianzè? per cossa?

Eleonora. Piango per causa vostra?

Guglielmo. Per mi? Cosa v’hoggio fatto?

Eleonora. Non piango per il male che voi a fate me; piango per quello ch’io sono in grado di fare a voi.

Guglielmo. No no, no pianzè per questo. Inveze de farme del mal, e pianzer; feme del ben, e ridemo.

Eleonora. Sì sì, voi ridete, ed io piangerò.

Guglielmo. Coss’è sta? gh’è qualche novità?

Eleonora. Vi par poca novità di dovervi lasciare?

Guglielmo. Lassarme? per cossa?

Eleonora. Per non levarvi una gran fortuna.

Guglielmo. Quala fortuna?

Eleonora. Quella di sposare una ricca vedova.

Guglielmo. Mi sposar una ricca vedova?

Eleonora. Sì, donna Livia con diecimille scudi d’entrata.

Guglielmo. Bisogna veder prima se ela me vol.