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Conte. Il signor Vice Re mi burla. Si prende spasso di me? Colui è un parabolano. Inventerà, alzerà l’ingegno, ingannerà il Vice Re medesimo. Ed io dovrò rimanere schernito? Sarò io creduto un menzognero? L’onor mio vuole che io sostenga quanto ho già detto. Troverò il marchese d’Osimo, troverò il conte di Brano; essi che conoscono Guglielmo assai più di me, verranno meco dal Vice Re, e sosterranno che colui è un falsario e un impostore. (via)

SCENA VII.

Camera di donna Livia.

Donna Livia ed Eleonora.

Livia. Brava, voi siete un’eroina. Voi rinunziate all’amore di Guglielmo, ed io vi lascio in libertà di disporre di seimille scudi.

Eleonora. Che volete ch’io faccia d’un tal denaro?

Livia. Egli servirà per la vostra dote; e se dubitate di trovare uno sposo, sarà mia cura di procurarvelo.

Eleonora. Eh, signora mia, chi ha bene amato una volta, non può assicurarsi di amar un’altra.

Livia. Io non vi propongo un amante, vi propongo un marito.

Eleonora. Un matrimonio senza amore? Sarebbe lo stesso che voler vivere sempre penando.

SCENA VIII.

Cameriere e dette.

Cameriere. Il signor Guglielmo ha premura di parlare colla signora Eleonora.

Livia. Venga pure; io non glielo vieto.

Cameriere. Non ardisce venire. L’aspetta giù.

Livia. Se vuol parlar con lei, ditegli che venga qui, altrimenti non le parlerà certamente.

Cameriere. Glielo dirò. (via)