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Vice Re. Avete seco lei amicizia?

Guglielmo. La m’ha onorà della so bona grazia.

Vice Re. Sento dire ch’ella abbia dell’inclinazione per voi.

Guglielmo. Volesse el cielo, che fosse la verità.

Vice Re. Che! ardireste voi di sposarla?

Guglielmo. Eccellenza, la me perdona, no son omo capace de simular. Digo costantemente, che se le mie circostanze me permettesse de sposar una donna ricca, no saria stolido a ricusarla.. La mia nascita no me fa arrossir, e circa alle ricchezze, queste le considero un accidente della fortuna; e siccome la sorte ha beneficà quella signora col mezzo de una eredità, cussì la me poderia beneficar mi col mezzo de un matrimonio.

Vice Re. Per quel che sento, voi avete delle forti speranze rispetto a un tal matrimonio.

Guglielmo. Anzi no spero gnente. V. E. sappia che gh’ho un impegno con una zovene napolitana, che questa xe vegnua a Palermo a trovarme, e benchè la sia povera, sarò costretto a sposarla.

Vice Re. Sposerete la povera, e lascierete la ricca?

Guglielmo. Cussì pensa, e cussì risolve, chi più delle ricchezze stima el carattere dell’omo onesto. No credo che D. Livia de mi ghe pensa, ma se la me volesse, saria l’istesso.

Vice Re. (Egli ha sentimenti di vero onore). Quanto tempo è che siete in Palermo?

Guglielmo. Quattro mesi.

Vice Re. E io non l’ho mai saputo.

Guglielmo. Eccellenza, ghe domando perdon, l’averia savesto che ghe son, se qua se usasse una certa regola che gh’ho mi in testa, rispetto ai alloggi dei forastieri e alle abitazioni dei paesani.

Vice Re. E qual è questa regola?

Guglielmo. Ghe dirò. Eccellenza, xe un pezzo che gh’ho in tel stomego un progetto, o sia un arrecordo rispetto ai alloggi, tanto fissi che accidentali. Sto mio progetto tende a tre cose: all’utile pubblico, al comodo privato e al bon ordene della città. Se la comanda ascoltarme, la vederà la facilità dell’esecuzion, la verità del progetto e la bellezza dell’arrecordo.