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ATTO TERZO.

SCENA I.

Camera di D. Livia.

D. Livia ed Eleonora.

Livia. Dunque mi assicurate voi che il signor Guglielmo sia una persona ben nata?

Eleonora. Sì, signora, ve lo dico con fondamento, e ve lo posso provare.

Livia. Come potete voi provarlo?

Eleonora. Egli aveva in Napoli tutti quegli attestati che possono giustificare l’esser suo, la sua nascita, le sue parentele, e dello stato vero della sua famiglia. A me nella sua improvvisa partenza sono rimaste tutte le robe sue. Fra queste vi sono i di lui fogli, de’ quali sono io depositaria, e li ho meco portati per renderli a lui, che forse sarà in grado d’usarli, per darsi a conoscere in un paese ove non sarà ancor conosciuto.

Livia. Voi, Eleonora, colla vostra venuta avete fatto nello stesso tempo un gran bene ed un gran male al vostro caro Guglielmo.

Eleonora. Del bene che gli posso aver fatto, ho ragione di consolarmi, siccome rattristarmi io deggio, per il male che mi supponete avergli io cagionato.

Livia. Sì, un gran bene sarà per lui l’essere in Palermo riconosciuto; ma un rimarcabile pregiudizio gli fia l’essere con voi impegnato.

Eleonora. Perchè, signora, dite voi questo?

Livia. Perchè se libero egli fosse, sperar potrebbe le nozze di una femmina, la quale non gli porterebbe in dote niente meno di diecimila scudi d’entrata.

Eleonora. Oh Dei! Guglielmo è in grado di conseguire un tal bene?

Livia. Sì, ve lo assicuro, quand’egli provi la civiltà dei natali, può disporre di una sì ricca dote.