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Conte. Siete un gabbamondo.

Guglielmo. Sior Conte, son un omo onorato.

Conte. E se anderete in quella casa, giuro al cielo vi farò romper le braccia.

Guglielmo. Adesso intendo. Son un impostor, son un gabbamondo, perchè vago in casa de D. Livia. Sior Conte, ela parla per passion, e no per giustizia.

Conte. Giuro al cielo, così si parla con un par mio?

Guglielmo. La venero e la respetto, ma no me lasso calpestar da nissun.

Conte. Vi calpesterò io coi miei piedi.

Guglielmo. Sarà un pochetto difficile. (Adesso ghe vien i flati ipocondriaci).

Conte. Se non temessi avvilir la mia spada, vorrei privarti di vita.

Guglielmo. Se ela vorrà avvilir la so spada in tel mio sangue, mi nobiliterò la mia in tel so stomego.

Conte. Ove sono i miei servitori?

Guglielmo. Comandela gnente? Se la vol un servitor, son qua mi.

Conte. Voglio farti romper le braccia.

Guglielmo. Se ghe n’avesse quattro, la servirave de do.

Conte. Ah scellerato, ancor mi deridi? Ti bastonerò.

Guglielmo. La me bastonerà? Se ela me tratterà da villan, mi la trattarò da cavalier. La mazzerò.

Conte. Oimè! Sento che la bile mi accieca, la collera mi opprime. Il mio decoro non vuole che con costui mi cimenti. Mi sento ardere, mi sento crepare.

Guglielmo. Sior Conte, la se quieta, che debotto la mor.

Conte. Come! Io morire?

Guglielmo. Sì, ela morir. L’ascolta un medico che parla, e no un impostor. La so collera xe prodotta da un irritamento, che fa la bile nel finimento dell’intestino duodeno e nel principio dell’intestino digiuno, dove boggie i sughi viziosi, onde se stimola eccellentemente el piloro al moto soprannatural e confuso, e provien da questo i gravissimi sintomi ai precordi. In tel medesimo tempo passa el sugo bilioso per i canali pancreatici e