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Filiberto. È sospetto al governo? Posso io cadere in disgrazia per lui? Lo licenzio in questo momento. Bisognerà restituirgli le dieci doppie.

SCENA VII.

Guglielmo e detto.

Guglielmo. Cosa me comandela, sior D. Filiberto? Giusto in sto ponto vegniva a riverirla.

Filiberto. Signor Guglielmo, io vi ho da dire una cosa, che mi dispiace moltissimo.

Guglielmo. La diga pur, la comandi.

Filiberto. In verità, non so come fare.

Guglielmo. Eh via, cara ela, la diga.

Filiberto. Vedo che voi siete un uomo pieno di virtù e di merito, ma io... Oh, quanto mi rincresce.

Guglielmo. Via, senza che la diga altro, l’intendo. La vol dir, che xe ora che ghe leva l’incomodo, che ghe destriga la casa.

Filiberto. Non intendo scacciarvi di mia casa.... ma.... Oh Dio!... Avrei bisogno di valermi di quelle camere.

Guglielmo. Benissimo, tanto me basta. E mi la ringrazio de averme sofferto tanto, e la sappia che sarave andà via prima d’adesso, se con bontà siora D. Aurora no me avesse obligà a restar.

Filiberto. (Hanno lagione, se mormorano di mia moglie).

Guglielmo. Doman ghe leverò l’incomodo. Solamente la pregheria dirme el motivo, per el qual la me licenzia cussì su do pie.

Filiberto. Per ora compatitemi, non posso dirlo. Anderete domani.

Guglielmo. (Bisogna che el sia deventà zeloso de so muggier). Comandela anca adesso? Son pronto a servirla.

Filiberto. Eh... non dico adesso... Ma... che so io, se non v’incomodasse andar questa sera.

Guglielmo. Gnente. Vago adesso; vago in sto momento.

Filiberto. Caro amico, mi dispiace infinitamente, ma credetemi, non posso fare a meno. Un giorno vi dirò tutto.

Guglielmo. Basta; per adesso no digo gnente, perchè ella xe