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Livia. Avete fatto l’avvocato in Toscana?

Aurora. Sì sì, me lo ha confidato.

Guglielmo. Patrone sì, xe la verità; ho fatto anca l’avvocato. Stufo della suggizion che ha da tollerar un segretario, ho cambià paese e ho cambià profession. Ho fatto l’avvocato, e con fortuna, e in poco tempo aveva acquistà credito, avventori e bezzi, e se tirava de longo, sarave in ancuo in t’un stato, posso dir de fortuna.

Livia. Ma perchè abbandonarlo?

Aurora. Perchè ha voluto venire a star in Palermo. Caro avvocato, volete fare la vostra professione da noi?

Livia. Io ho delle liti, ed ho dei parenti. Non dubitate, non vi lascierò mancar cause.

Aurora. Chi ha roba, ha liti; mio marito n’è pieno. Vi darà un tanto l’anno.

Conte. (D. Livia si scalda molto per quel forastiere. Sto a vedere che sia di lui innamorata).

Marchese. (Non vorrei che il signor avvocato facesse giù D. Livia. La sua dote non ha da essere sagrificata).

SCENA XIV.

Altro Cameriere e detti.

Cameriere. Signora, il conte Portici.

Livia. Venga pure. Mettete una sedia.

Guglielmo. (Debotto vien tutto Palermo).

Cameriere. Servitor suo. (a Guglielmo)

Guglielmo. Ve reverisso.

Livia. Che? lo conoscete anche voi. (al cameriere)

Cameriere. Sì signora, l’ho conosciuto in una città, che non mi ricordo come si chiami, dove faceva il cancelliere. (via)

Aurora. (Oh bellissima!) È vero, è vero, lo so.

Livia. Gran mestieri che avete fatti.

Guglielmo. Cossa vorla che ghe diga. Ho fatto anca el Cancellier Criminal, e per dirghe la verità, questo de tanti mistieri