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Livia. Il maestro di scuola.
Guglielmo. (Oh diavolo, cossa sentio!)
Aurora. Il maestro di scuola?
Livia. Signor Guglielmo, non l’avete voi esercitato in Messina? Il mio paggio è stato alla vostra scuola; e a voi in quattro mesi non l’ha raccontato?
Guglielmo. Ghe dirò: xe vero, no lo posso negar. A Messina ho dovesto per viver insegnar l’A. B. C. La sappia, che partito da Napoli con un bastimento, per vegnir a Palermo, una borrasca m’ha obligà a navegar senza vele, e dopo aver combattù con l’onde, per el corso de do zorni e do notte, semo andai a romperse su una spiaggia vicina al Faro. Ho perso la roba, e ho salva la vita. Son andà a Messina senz’abiti, e senza bezzi; no giera cognossù da nissun. Son stà accolto per carità da un maestro de scuola, e mi per ricompensa del pan ch’el me dava, lo sollevava della fadiga mazor, e per tre mesi continui ho insegnà a lezer e scriver; profession che no xe trattada dalle persone nobili, perchè la xe mercenaria, ma che non pregiudica in nissun conto nè al decoro, nè a la nascita d’un omo onorato e civil.
Aurora. Sentite? Il signor Guglielmo è persona civile, ha fatto il maestro per accidente. Già me l’aveva detto.
Livia. Come poi avete fatto a partir di Messina?
Guglielmo. Ho trovà un patriotto. Nualtri Veneziani per tutto el mondo se amemo come fradelli, e se agiutemo un con l’altro. El m’ha assistio, me son imbarcà, e son vegnù a Palermo.
SCENA X.
Cameriere e detti.
Cameriere. Signora, è il conte di Brano.
Livia. Venga, è padrone.
Cameriere. (Quel signore mi par di conoscerlo). (osservando Guglielmo, e via)
Aurora. Se avete altre visite, vi leveremo l’incomodo.