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che son, la so pietà xe per mi una previdenza del cielo; ma no posso tirar avanti, bisogna che vaga via.

Aurora. Perchè mai, signor Guglielmo, perchè?

Guglielmo. Orsù, mi son un omo schietto, sincero, e no me vergogno a parlar delle mie miserie. Oltre la casa, oltre el magnar, la sa quante cose xe necessarie a un omo civil. No digo d’avantazo, ma la sarà persuasa che me convien andar via.

Aurora. No, signor Guglielmo, voi non avete a partir per questo. Eccovi dieci doppie; servitevene nelle vostre occorrenze.

Guglielmo. Dieci doppie?.... Oh, la me perdona; non son in grado de poderle accettar.

Aurora. Per qual ragione?

Guglielmo. La me vuol dar dieci doppie? Per cossa?

Aurora. Perchè ora ne avete bisogno.

Guglielmo. El bisogno no me fa perder de vista la convenienza e el dover. Xe anca troppo el ben che me fa sta casa, e no permetterò certamente, che per causa mia le s’abbia da incomodar.

Aurora. Voi ci trattate da miserabili. Dieci doppie non alterano il nostro stato.

Guglielmo. Basta, no digo per questo.... Ma la compatissa.... no le posso accettar.

Aurora. Ditemi la ragione.

Guglielmo. La vede ben che la muggier dona dieci doppie... Cossa vorla che diga el mano?

Aurora. Questo denaro non ve lo do io, ma ve lo dà mio marito.

Guglielmo. Me lo dà so mario? Per che rason?

Aurora. Perchè sa che ne avete voi di bisogno.

Guglielmo. Mo chi ghe l’ha dito, che ghe n’ho bisogno?

Aurora. In quattro mesi si è assicurato del vostro stato.

Guglielmo. E mi in quattro mesi me son assicurà, che dieci doppie nol le pol considerar come dieci lire.

Aurora. Se ricusate le dieci doppie, mi chiamo da voi altamente affrontata.

Guglielmo. Co l’è cussì, per no desgustarli le torrò. (Ghe n’ho bisogno, ma me despiase de torle).