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268 ATTO TERZO


pericolo ch’io sposi mai altra donna, e lascerò qualsisia gran sorte, per evitare uno sfregio, un rimorso, un motivo di essere giustamente censurato.

SCENA XXI.

Eleonora e detti.

Eleonora. No, signor Guglielmo, non vi tradite per me. Sposatevi a donna Livia, accettate quel bene che vi offerisce il destino, e siate certo che io non vi sarò di ostacolo per conseguirlo. Dopo un lungo combattimento fra l’amor mio e la mia virtù, mi suggerì la ragione, che chi ama davvero, evitar dee la rovina della persona amata. Donna Livia qui mi ha seco condotta, essa mi ha facilitato il modo di mandar ad effetto la mia opportuna risoluzione. Ecco in questo foglio una cartella de’ luoghi di monte del valor di seimila scudi, ed eccone mille in questa borsa. Con questi, e colla scorta di due buoni amici di donna Livia, vado in questo momento a chiudermi in un ritiro, e non mi vedrete mai più. (parte)

SCENA XXII.

Il Vicerè, donna Livia, Gugliemo, il Marchese di Osimo,
il Conte di Brano, il Conte Portici e don Filiberto.

Guglielmo. Fermatevi, per un momento... (dietro ad Eleonora)

Vicerè. Lasciate ch’ella sen vada. Non impedite un’opera sì generosa.

Guglielmo. Non so che dire. Se ne ha voglia, non conviene poi frastornarla.

Livia. Sì, lasciate ch’ella vada a godere uno stato, che certamente non le potea promettere la miserabile sua condizione; nell’accettar la mia mano, qui alla presenza del nostro benignissimo Vicerè, prendete il possesso di me, del mio cuore e di quanto possiedo.