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264 | ATTO TERZO |
SCENA XVI.
Camera nel palazzo del Vicerè
Il Vicerè e Guglielmo.
Vicerè. Io sono talmente persuaso del vostro progetto, che domani lo spedisco a Napoli a S. Maestà, ove son certo che sarà posto in uso, e voi avrete un premio, che vi darà uno stato mediocre per tutto il tempo di vostra vita.
Guglielmo. Che dice l’Eccellenza Vostra? Non è facile? Non è sicuro?
Vicerè. È regolato assai bene, non può fallire.
Guglielmo. Potrà nessuno dolersi?
Vicerè. No certamente; anzi tutti loderanno l’autore.
Guglielmo. Converrà poi ritrovare una persona onesta, capace di presiedere alla nuova incombenza.
Vicerè. Si troverà.
Guglielmo. Eccellenza, vorrei supplicarla di una grazia.
Vicerè. Dite pure.
Guglielmo. Giacchè io ho avuto la sorte di proporre una cosa che l’E. V. crede utile per la città e per il regno, desidererei ch’ella si degnasse di eleggere fra quei ministri, che vi saranno impiegati, una persona che infinitamente mi preme.
Vicerè. Quando sia abile, lo farò volentieri.
Guglielmo. Sarà abilissimo. Questi è don Filiberto.
Vicerè. Bene; don Filiberto avrà la carica, e riconoscerà da voi quell’utile che al novello impiego sarà assegnato.
Guglielmo. Rendo le più umili grazie all’E. V.
SCENA XVII.
Il Conte Portici, introdotto da un Servitore del Vicerè, e detti.
Conte. Signore, io comparisco in faccia dell’E. V. un calunniatore, poichè colui avrà avuto l’arte di farsi credere qualche cosa di buono. Non è maraviglia che un poeta, e un poeta