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262 ATTO TERZO

Aurora. Io non ho parte nella sgarbatezza di mio marito; anzi mi sono con lui risentita, e non gliela perdono mai più.

Livia. Siete irata dunque con don Filiberto?

Aurora. Sì: ho già fatto prepararmi il letto in un’altra camera.

Livia. E vorrete per questo...

Aurora. Orsù, ditemi: avete ricevuto le venti doppie?

Livia. Sì, le ho avute. Ma se io le ho donate al signor Guglielmo, perchè voi rimandarle?

Aurora. Perchè il signor Guglielmo non le ha volute.

Livia. Eh, donna Aurora, ci sono degl’imbroglietti.

Targa. Con permissione. (a donna Aurora) (Il signor Guglielmo parte in questo momento). (piano a donna Livia, e parte)

Livia. Aspettatemi, che ora vengo. (a donna Aurora, e parte subito)

SCENA XIV.

Donna Aurora, poi Eleonora.

Aurora. Credevami trovar Guglielmo, e non l’ho veduto. Perfido! Se ti trovo, ti vo’ rimproverar come meriti. È questa la gratitudine che tu hai per una che ti ha fatto del bene?

Eleonora. Signora, dov’è donna Livia? Poc’anzi non era qui?

Aurora. Sì, è partita ora, ed a momenti ritorna.

Eleonora. (Ho già risoluto. Parlerò a donna Livia; le farò la rinunzia del cuor di Gugliemo. Ahi! che mi sento morire), (da sè)

Aurora. Che avete, signora? Pare che vi rammarichiate di qualche cosa.

Eleonora. Le mie disavventure non sono poche.

Aurora. Chi siete voi? È lecito che io lo sappia?

Eleonora. Il mio nome è Eleonora.

Aurora. Di qual patria?

Eleonora. Napoletana.

Aurora. (Eleonora? Di Napoli?) (da sè) Ditemi: sareste voi forse l’amante di un tal Guglielmo?

Eleonora. Sì, non lo nego. E questo Gugliemo come è da voi conosciuto?