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L'AVVENTURIERE ONORATO 261

Eleonora. Dove il cielo destinerà.

Guglielmo. Oh, questo poi no. Voglio sapere che intenzione avete.

Eleonora. Crudele!

Guglielmo. Eh via!

Eleonora. Sì, siete un barbaro, siete un ingrato.

Guglielmo. Ma non è vero... Ma se son pronto a sposarvi...

Eleonora. Andate a sposare i diecimila scudi d’entrata, (parte)

SCENA XII.

Guglielmo solo.

Sentite: fermatevi. Va come il vento. Il Vicerè mi aspetta, e ho anche soverchiamente tardato. Dice ch’io vada a sposare diecimila scudi d’entrata? Un tal matrimonio non sarebbe cosa da gettar via. Lo farei volentieri; ma la povera ragazza mi fa compassione. Diamine! una ricchezza di questa sorta la porrò in confronto di una fanciulla, per cui non ho nemmeno una gran passione? No, non metto la dote al paragone con Eleonora, la metto in bilancia col di lei onore e col mio; e concludo in me medesimo, che il prezzo dell’onore supera quello dell’oro; che se Eleonora si acquieterà, e salvo sarà il suo decoro, abbraccerò la fortuna; altrimenti non la comprerò mai a prezzo di viltà, d’ingratitudine, di sconoscenza. (parte)

SCENA XIII.

Altra camera in casa di donna Livia.

Donna Livia e donna Aurora, poi Targa.

Aurora. No, il signor Guglielmo da me non si è più veduto, e mi maraviglio di lui che sia partito di casa mia, senza da me congedarsi.

Livia. Se vostro marito lo ha scacciato villanamente, non conveniva ch’egli più oltre si trattenesse.