Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
260 | ATTO TERZO |
Eleonora. Ed io avrei cuore di privarvi di un sì gran bene?
Guglielmo. A questo passo, non so che dire. Quando dico io di sposarvi, faccio il mio debito. Se pare a voi di pregiudicarmi, tocca a voi a ritrovare il rimedio.
Eleonora. Sì, vi rimedierò.
Guglielmo. Come?
Eleonora. Mi ucciderò, mi darò la morte.
Guglielmo. Ecco: queste son pazzie, ragazzate. Quando parlate di morire, sposiamoci, ed è finita.
Eleonora. Se poi mi sposaste, avreste sempre a rimproverarmi la dote perduta.
Guglielmo. Vi dirò: qualche cosa potrebbe darsi che mi scappasse di bocca; meriterò di essere compatito.
Eleonora. Dunque sposate pur donna Livia.
Guglielmo. E voi?
Eleonora. Ed a me non pensate.
Guglielmo. Badate, Eleonora. Con seimila scudi e l’assistenza di donna Livia, non vi mancherebbe un miglior partito.
Eleonora. Ah perfido! Vedo che voi mi odiate; vedo che con piacere mi abbandonate.
Guglielmo. Vi odio? Vi abbandono? Son qui, datemi la mano.
Eleonora. Che mano?
Guglielmo. La mano per isposarvi; e finiamola.
Eleonora. E poi?
Guglielmo. E poi, ci penseranno gli astrologi.
Eleonora. E i diecimila scudi d’entrata?
Guglielmo. Buon viaggio ai diecimila scudi. Noi mangeremo colle rendite del matrimonio.
Eleonora. Caro Guglielmo, io vi amo più di quello che voi credete, e non ho cuore di rovinarvi.
Guglielmo. Se rovinate me, per conseguenza rovinate anche voi.
Eleonora. Dunque...
Guglielmo. Dunque, che cosa?
Eleonora. Addio. (in atto di partire)
Guglielmo. Dove volete andare?