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L'AVVENTURIERE ONORATO | 251 |
SCENA IL
Targa cameriere, e dette.
Targa. Signora, queste venti doppie le manda la signora donna Aurora, ed il signor Guglielmo le ha portate sino alla porta.
Livia. Che ha egli detto nel dare a voi questa borsa?
Targa. Mi ha ordinato di dirle espressamente, che le invia una donna d’onore e le porta un giovine sfortunato.
Livia. Perchè non viene egli stesso a recarmele di sua mano?
Targa. Non saprei, signora...
Livia. Andate; cercatelo, e ditegli che si lasci da me vedere.
Targa. Sarà servita. (parte)
Livia. Ah, signora Eleonora! Guglielmo merita una gran fortuna; il cielo gliela offerisce, e voi gliela strappate di pugno.
Eleonora. Voi mi trafiggete, voi mi uccidete. Ditemi, che far potrei, per non essere la cagione della sua rovina? Potrei sagrifìcar l’amor mio; potrei perdere il cuore; potrei donargli la vita; ma come riparare all’onore? Come rimediare ai disordini della mia fuga? Che sarebbe di me, sventurata ch’io sono?
Livia. Venite meco, e se amate veramente Guglielmo, preparatevi a far due cose per lui. La prima a giustificar l’esser suo, cogli attestati che sono in vostro potere; la seconda, e questa sarà per voi la più dura, far un sagrifizio del vostro cuore alla di lui fortuna.
Eleonora. Aggiungetene un’altra: morire per sua cagione.
Livia. Se non avete valor per resistere, non lo fate.
Eleonora. Voi non mi proponete una cosa da risolversi su due piedi.
Livia. Andiamo; pensateci, e ne parleremo.
Eleonora. Sì, andiamo, e se il destino vuoi la mia morte, si muoia. (parte)
Livia. Eh, che il dolor non uccide. Troverò il modo io coll’oro e coll’argento di acquietare Eleonora, di obbligare Guglielmo, e di consolare l’innamorato mio cuore. (parte)