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L'AVVENTURIERE ONORATO 239

Conte. Giuro al cielo, così si dice a un mio pari?

Guglielmo. Vi venero, vi rispetto, ma non mi lascio calpestar da nessuno.

Conte. Vi calpesterò io co’ miei piedi. (alterato, con agitazione)

Guglielmo. La cosa sarà un pochetto difficile. (Or ora gli vengono i flati ipocondriaci). (da sè)

Conte. Se non temessi avvilir la mia spada, vorrei privarti di vita.

Guglielmo. S’ella si proverà d’avvilire la di lei spada nel mio sangue, io cercherò di nobilitar la mia nel suo petto.

Conte. Ove sono i miei servitori? (guardando per la scena)

Guglielmo. Ha bisogno di nulla? Son qui, la servirò io. (ironico)

Conte. Voglio farti romper le braccia.

Guglielmo. Se ne avessi quattro, potrei servirla di due. (come sopra)

Conte. Temerario! ancor mi deridi? Ti bastonerò.

Guglielmo. Mi bastonerà? S’ella mi tratterà da villano col bastonarmi, io la tratterò da cavaliere, l’ammazzerò.

Conte. (Oimè! Sento che la bile mi affoga; il mio decoro non vuole che con costui mi cimenti. Mi sento ardere, mi sento crepare). (da sè, va smaniando per la scena)

Guglielmo. Signor Conte, si fermi, si quieti; ella può cascar morto.

Conte. Io? cascar morto? Oimè! come?

Guglielmo. Sì signore; lo conosco agli occhi, al color della faccia. Ascolti un medico che ragiona, non un impostore che parla. La di lei collera è prodotta da un irritamento, che fa la bile nel finimento dell’intestino duodeno e nel principio dell’intestino digiuno, ove bollono i sughi viziosi, onde si stimola eccedentemente il piloro al moto preternaturale e confuso, da che provengono gravissimi sintomi ai precordii. Nel tempo medesimo passa il sugo bilioso per i canali pancreatici e colidochi, e si stempra e si corrompe la massa del sangue, e fra la convulsione prodotta nella diramazione dei nervi, e fra la corruzione che si forma nel sangue, scorrendo questo con troppa espansione per le vene anguste del cerebro, si produce l’apoplessia, la macchina non resiste, e si rimane sul colpo.