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238 ATTO SECONDO

SCENA XV.

Strada colla casa di donna Livia.

Il Conte di Brano, poi Guglielmo che esce di casa
di donna
Livia.

Conte. Donna Livia è una bella donna, è una ricca vedova; e non ci sarà in Palermo chi vaglia a contrastarmi l’acquisto di una sposa piena di merito e di fortuna. Guglielmo, scacciato per ora da don Filiberto, sarà esiliato dalla città.

Guglielmo. (Esce di casa di donna Livia melanconico.)

Conte. (Come! Colui in casa di donna Livia?) (da sè)

Guglielmo. (Ci vuol coraggio; qualche cosa sarà. Eleonora è venuta in tempo per rovinarmi. Pazienza. L’attenderò qui in istrada per ringraziarla). (da sè)

Conte. (Temerario!) (guardando bruscamente Guglielmo, nel mentre che gli passa vicino)

Guglielmo. Servitor umilissimo. (al Conte)

Conte. Con qual coraggio siete tornato voi in quella casa?

Guglielmo. Un galantuomo può andar per tutto.

Conte. Voi non siete un galantuomo.

Guglielmo. Non lo sono? Con qual fondamento può dirlo, padron mio?

Conte. Se avete avuto l’ardire di passar per medico, e non lo siete, vi manifestate per un impostore.

Guglielmo. Se non sono medico di attual professione, posso esserlo quando voglio, perchè ho cognizione, ho abilità, ho teorica, ho pratica per far tutto quello che fanno gli altri.

Conte. Siete un gabbamondo.

Guglielmo. Mi maraviglio di voi, sono un uomo d’onore.

Conte. E se anderete in quella casa, giuro al cielo, vi farò romper le braccia.

Guglielmo. Ora lo capisco. Sono un impostore, un gabbamondo, perchè vo in casa di donna Livia. Signor Conte, ella parla assai male.