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214 | ATTO PRIMO |
avanzarmi. Finalmente, per curiosità di sapere che cosa era successo di una certa ragazza, son ritornato a Napoli ed ho abbandonato la medicina, la quale per quattro mesi continui m’aveva fatto passare in Gaeta per l’eccellentissimo signor Guglielmo.
Aurora. Bravissimo: lodo il vostro spirito.
Livia. Signor dottore, io patisco qualche incomodo, mi prevarrò della vostra virtù.
Guglielmo. Può essere ch’io abbia un medicamento a proposito per il suo male.
Aurora. Siete in casa mia, signore, avete prima da operar per me. De’ mali ne patisco anch’io.
Guglielmo. Non dubitino; le risanerò tutte e due.
Conte. Dite: perchè avete lasciato di coltivare la medicina? Siete forse poco ben persuaso in favore di una tal professione?
Guglielmo. Anzi la venero e la rispetto.
Conte. Eppure ci sarebbe molto che dire...
Guglielmo. Signor Conte, mi perdoni, non dica male de’ medici. Perchè se si dice male de’ cattivi, se ne offendono ancora i buoni.
SCENA XII.
Fermo cameriere di donna Livia, e detti.
Fermo. Signora, il signor marchese d’Osimo. (a donna Livia)
Conte. (Ecco un mio rivale). (da sè)
Livia. È padrone. (Anche costui mi secca). (da sè)
Guglielmo. (Or ora viene qualche Principe, qualche Duca), (da sè)
Fermo. Signore, servitor suo. (a Guglielmo, mettendo una seggiola vicino a lui)
Guglielmo. Vi saluto.
Fermo. Ella non mi conosce più?
Guglielmo. Mi pare, ma non mi sovviene.
Fermo. Non si ricorda a Roma, che abbiamo servito insieme?
Livia. (Che sento!) (da sè)