Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1909, VI.djvu/218

206 ATTO PRIMO

Aurora. (Povero giovine! Può essere più modesto? Può essere più discreto?) (da sè)

Guglielmo. Non so che dire. Sono confuso da tante grazie...

Aurora. Non ne parliamo più. Ditemi, signor Guglielmo, siete dunque afflitto perchè non avete lettere?

Guglielmo. Da che sono a Palermo, non ho avuta nuova di casa mia.

Aurora. E della vostra signora Eleonora avete avuto notizia alcuna?

Guglielmo. Nemmeno di lei.

Aurora. Questo sarà il motivo della vostra malinconia, perchè non avete avuto nuove della vostra cara.

Guglielmo. Le dirò; la signora Eleonora l’ho amata1, come le ho raccontato più volte, ma se devo dire la verità, l’ho amata più per gratitudine che per inclinazione. Per impegno le ho promesso sposarla, e per lei mi sono quasi precipitato. Sono quattro mesi ch’ella non mi scrive. S’ella si è scordata di me, procurerò io pure di scordarmi di lei.

Aurora. Lo sa che siete in Palermo?

Guglielmo. Lo sa, perchè gliel’ho scritto.

Aurora. Non lo sapete? Lontan dagli occhi, lontan dal cuore; ne avrà ritrovato un altro.

Guglielmo. Quasi avrei piacere che fosse così. Conosco che io facea malissimo a sposarla. Ma quando uno è innamorato, non pensa all’avvenire; e dopo fatto, lo sproposito si conosce.

SCENA VII.

Berto e detti.

Berto. La signora donna Livia ha mandato la carrozza, e dice che se ne servano per andar da lei, e che non beve la cioccolata senza di loro.

Aurora. Bene, bene. Di’ al cocchiere che aspetti.

Berto. Sì signora. (Eccoli qui, sempre insieme, e il padrone non dice nulla). (da sè)

  1. Pap.: Le dirò, signora. Eleonora l’ho amata ecc.