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lode eccessiva dell’anonimo entusiasta, che non la stima in che mostra di aver questa produzione uno de’ barbassori della critica romantica. «La più graziosa in questo genere [il gen. romanzesco] — osserva il Sismondi (Trattato della Lett. ital. dal sec. XIV fino al princ. del sec. XIX. Mil. 1820, II p. 138) è la sua Incognita... Il carattere di Pantalone... basterebbe di per se alla buona riuscita...» E mostrando di conoscere la Venezia del 700 meno che non sia concesso a uno storico delle nostre repubbliche concludeva che, dato l’ambiente, la commedia poteva anche avere apparenza di reale. Di lodi così bislacche, temperate da una chiusa ove non sai se sia più malanimo o ignoranza, il Meneghezzi (Della vita e delle opere di C. G. Mil. 1 827, p. 1 30) scrisse: «Ognun vede chiaro il perchè lo scrittore ginevrino abbia voluto estendere la sua analisi parziale e tributar le sue laudi a questa commedia, anzichè a tante altre di lei più meritevoli.» Qualunque ne fosse il movente, noi nei biasimi e nelle laudi del Sismondi non scorgiamo ormai che l’assoluta incapacità sua ad intendere il Goldoni.
Se non andò lontano, un po’ di cammino lo fece anche questo dramma dopo il buon successo di Venezia [«Con el Bravo impertinente. S’ha tira tuta la zente». (Complim. di Rosaura, cit.)]. Il Medebac l’avrà portata certo in altre città. Nel 54 si sa che fu recitata a Milano. (Paglicci - Brocci. Il r. ducal Tea. di Mil. nel sec. XVIII, Estr. d. Gazz. mus. 1893 1894, p. 77). D’una sola traduzione (spagnola) c’è notizia sicura, ed è un segno della grande e spesso bizzarra fortuna delle commedie del Nostro anche fuori d’Italia, che si sia pensato a tradurre persino questa. Stupisce assai meno che la musica non l’abbia ignorata, perchè nelle mille peripezie di Rosaura dalle braccia dell’adorato Florindo (tenore) a quelle dell’aborrito Lelio (baritono), si avverte in germe l’opera romantica. Ma, non maturi ancora i tempi a sciupio di passioni, l’abate Giuseppe Petrosellini si contentò di trarne un libretto giocoso, musicato tanto dal Piccinni (Musatti, Drami mus. di C. G. e d’altri tratti dalle s. comm. Bassano, 1900, p. 11 ) che dall’Anfossi (Batka, Die neugierigen Frauen [Opern führer] Berlin, p. 8).
Notevole nella lettera alla contessa Paracciani il passo dove lo stesso Goldoni tocca dell’interesse destato dalle sue dedicatorie. Modesto per sè, come l’indole di queste lettere voleva, egli ne scorge la ragione nel rango e nel nome de’ personaggi cui via via andava intitolando le sue commedie. Per noi, ben s’intende, le dedicatorie serbano importanza — spesso massima — solo per i rapporti che quei personaggi più o meno illustri ebbero col grande Comico. «Vediamo — nota giustamente Alessandro Spinelli — incalzarsi l’affetto e la gratitudine per chi gli prestava assistenza morale e materiale nel suo irto apostolato di riformatore, e vediamo altresì uscirne dati di fatto preziosissimi per lo storico e pel critico del suo teatro» (Modena a C. G. 1907, p. 163).
Nella Bologna settecentesca lieta più che mai di teatri e teatrini innumerevoli, dove i patrizi con zelo sfrenato indulgevano a Talia (notiamo tra questi il co. Casali [Ricci, I tea. di Bol. 1888, p. 481] ricordato nella dedica), il Goldoni passò tutta la primavera del 1752 (Cfr, Premessa alla Serva amorosa. Ediz. Paperini, vol. I, p. 321). Forse in quei mesi egli strinse con Francesco Albergati quei rapporti tanto cari all’animo dei due, e non infecondi nè per l’opera del maestro, nè per quella dell’allievo. Conobbe là probabilmente allora