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180 ATTO TERZO

SCENA XX.

Un Tenente con sei granatieri.

Ottavio. Questi è il signor Pantalone dei Bisognosi. (al tenente)

Lelio. (Se verrà per arrestarmi, l’ucciderò). (da sè)

Tenente. Signore, la vostra casa è circondata da sessanta soldati, e quaranta birri in distanza aspettano il vostro figliuolo. (a Pantalone)

Lelio. Io? Giuro al cielo...

Tenente. Fermate. Ecco sei granatieri, li quali hanno ordine di ammazzarvi, se resistete.

Lelio. Olà, dove siete? (vuol chiamare i suoi armati)

Pantalone. Fèrmete, cossa fastu?

Lelio. Dove siete? dico.

Pantalone. Vustu far una guerra in casa?

Lelio. (Ah, che i codardi mi hanno abbandonato. Spaventati dal numero dei soldati, mi hanno lasciato solo. Misero! Che farò?) (da sè)

Tenente. Arrendetevi per vostro meglio. (a Lelio)

Lelio. Sì, le armi onorate dei soldati fanno quell’impressione nell’animo mio, che non han fatto quelle dei birri. Io che ho rovesciata la sbirraglia giù per una scala, io che l’ho disfatta in un bosco, cedo e mi arrendo a un piccolo numero di soldati, assicurandovi che ho coraggio per saper morire colla spada alla mano.

Tenente. Cedete la spada.

Lelio. Eccola. (Maledetto destino). (dà la sua spada al tenente, ed egli ad altra persona)

Pantalone. Sior offizial, per carità, cossa sarà del mio povero fio?

Tenente. Siccome i suoi delitti non sono che di superchierie, non credo che il suo castigo eccederà la prigionia di un castello.

Pantalone. Vedeu? Questo xe quello che se vadagna a far el bravo, a far l’impertinente. No so cossa dir. Ti xe mio fio, e me despiase vèderte in sto miserabile stato; ma co penso che stando in t’un castello e provando i rigori della giustizia,