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162 ATTO PRIMO

Rosaura. Oimè! Voi mio padre?

Ridolfo. Sì, io sono il misero conte Ernesto. Ah, se non fosse stato l’amore che a te mi teneva legato, sarei passato a vivere in libertà in un regno lontano. Per te ho penato, per te ho sofferto, per te sono invecchiato prima del tempo; ed ora son pronto, per non negarti la compiacenza di un folle amore, andar io stesso a offrire il mio sangue invece della tua mano, (s’alza)

Rosaura. Deh, fermatevi per pietà!

Ridolfo. Ah male spesi sudori! Ah lagrime sparse invano!

Rosaura. Uditemi. Io non mi credea di parlar con mio padre.

Ridolfo. Ma di tuo padre parlavi.

Rosaura. Nè mi credea aver un padre tanto amoroso per me.

Ridolfo. Dillo, poteva amarti di più?

Rosaura. No certamente.

Ridolfo. E tu mi pagherai di così trista mercede?

Rosaura. No, padre, disponete di me.

Ridolfo. Sei tu risoluta di dar la mano a quello che io ti offro?

Rosaura. (Oh Dio!) (da sè) Sì, farò tutto per compiacervi.

Ridolfo. Ma tu peni a dirlo.

Rosaura. Peno, moro, il confesso. Amo Florindo, egli è vero; ma la pena ch’io provo, ma l’amore ch’io nutro, dia maggior merito alla mia ubbidienza, e vi sia per questo più cara di vostra figlia la rassegnazione.

Ridolfo. Figlia, mia cara figlia, deh, lascia che al seno ti stringa.

Rosaura. (Ma, oh cieli! Possibile ch’io non abbia mai da sentir un piacere, senza che amareggiato mi venga da una più crudele sventura!) (da sè)

Ridolfo. Andiamo dunque. Non perdiamo inutilmente il tempo prezioso.

Rosaura. Partirò senza rivedere la mia amorosissima Colombina?

Ridolfo. Sì, la vedrai. La faremo venir con noi.

Rosaura. Oh Dio, partirò...

Ridolfo. Via, dillo: partirò senza vedere Florindo?

Rosaura. Sì, partirò senza vedere Florindo.