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L'INCOGNITA | 161 |
Rosaura. Oh Dio!
Ridolfo. Deh parlate! Non mi tenete sospeso. Ditemi, siete voi accesa di qualche fiamma amorosa?
Rosaura. Ah, negarlo non posso.
Ridolfo. Amereste voi forse il perfido Lelio?
Rosaura. Guardimi il cielo! Amo un giovane civile, onorato e di costumi illibati. Un giovane cittadino che per tre mesi ha pianto per me, senza che io mi sentissi intenerire dalle sue lagrime. Ma oh Dio! Le persecuzioni di Lelio, il non aver notizia di voi, la servitù dell’amante, lo stato miserabile in cui mi ritrovava, tutto mi ha stimolato a non ricusare un partito, che giudicai mi venisse offerto dal cielo.
Ridolfo. Sì, è vero; tutto ciò giustifica bastantemente la vostra condotta; ma non basta a sottrarvi dal matrimonio ch’io vi propongo. Si tratta di dare la vita ad un padre.
Rosaura. Dovrei dunque sagrificarmi alle nozze di uno che non conosco, di uno che probabilmente avrà ereditato dal padre l’odio ch’ebbe col nostro sangue e il disonesto amore che provò per la mia genitrice?
Ridolfo. Tutto ciò deve obliarsi e sarà certamente obliato. Son anni che si lavora per questa pace. Ella è conclusa, se voi volete.
Rosaura. Chi mi può chiedere il sagrificio del cuore?
Ridolfo. Un padre che vi diede la vita.
Rosaura. Questo padre, ch’or vuole ch’io mi perda per lui, che cosa ha fatto per me? Vent’anni ha sofferto starmi vicino e non lasciarsi vedere? Mi ha abbandonata al destino, e se voi non mi aveste pietosamente soccorsa, morta sarei di fame. Venga da me mio padre, gli parlerò con rispetto; ma gli dirò che quella figlia, a cui egli non ha pensato per tanti anni, ora non è in istato di sagrificarsi per lui.
Ridolfo. Sì, figlia, eccolo quel padre a cui destini di parlare così. Eccolo: io son quello. Di’ che per venti anni a te non ho pensato, che ti ho lasciata morir di fame, ch’io sono un barbaro genitore e che non merito da una figlia il sagrificio del cuore.