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158 | ATTO PRIMO |
Ottavio. Florindo era seco?
Mingone. Era nel carrozzino con lei.
Ottavio. Non occorr’altro. (Mingone parte) La premura che ha mia moglie per questo giovane, par ch’ecceda i limiti della pura amicizia. Non vo’ però tutto ad un tratto determinarmi a credere ciò che mi potrebbe suggerire la gelosia. Sarò cauto, e me ne saprò assicurare. L’uomo non deve nè tutto credere, nè tutto temere. La troppa fede inganna, il timore soverchio fa travedere. (parte)
SCENA XIV.
Ridolfo e Rosaura.
Ridolfo. Orsù, venite qui Rosaura, e frattanto che la contessa Eleonora va a far i suoi complimenti alla padrona di casa, discorriamola fra voi e me. Ancora non vi ho potuto dir nulla. Il padre di Lelio ci ha tenuti obbligati a quella portiera, e in verità non ho potuto trattenermi di piangere, vedendo il di lui coraggio e la di lui tenerezza.
Rosaura. Quanto è buono il padre, altrettanto è scellerato il figliuolo.
Ridolfo. Basta, pensiamo a noi. Sediamo un poco. Io son vecchio e non posso star lungamente in piedi. (siedono) Figlia, è giunto il tempo in cui vi è lecito di sapere il nome di vostro padre, quello della vostra patria e il vostro medesimo, mentre voi non vi chiamate Rosaura.
Rosaura. Qual è dunque il mio vero nome?
Ridolfo. Teodora.
Rosaura. E quel di mio padre?
Ridolfo. Ernesto.
Rosaura. Ed il cognome?
Ridolfo. Dei Conti dell’Isola.
Rosaura. Sono io contessa?
Ridolfo. Sì, lo siete.
Rosaura. In qual paese ebbi il natale?