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148 | ATTO PRIMO |
Per amor del cielo, assisteteci, liberate quella povera sventurata, e se Lelio non fosse estinto, e se quell’indegno fosse tuttavia in Aversa, procurate che sia fatto arrestare, che sia punito, ed abbia quella pena che merita un assassino.
Lelio. Ma voi parlate assai male.
Ridolfo. Poco dico a quel ch’egli merita. Perfido, scellerato!
Lelio. Ah vecchio indegno! Sai tu con chi parli?
Ridolfo. Oimè!
Lelio. Io son quel Lelio che tu maltrati, e se non fossi canuto, ti balzerei ai piedi la testa.
Eleonora. Come! Non siete voi il finanziere?
Lelio. Sono il diavolo che vi porti. Così si parla di me?
Eleonora. E voi così trattate coi forestieri?
Lelio. Giuro al cielo, non so chi mi tenga...
Ridolfo. Via, ammazzatemi. Io non mi difendo.
Lelio. Vecchio, temerario insolente. (lo getta in terra, e parte)
Ridolfo. Oimè.
Eleonora. Oh Dio! Alzatevi.
Ridolfo. È partito?
Eleonora. Sì, è partito.
Ridolfo. Andiamo dal Governatore. (parte)
Eleonora. Quanti accidenti! Quante disgrazie! Oh cielo! Dove anderà a finire l’inviluppo di tali e tante avventure? (parte)
SCENA IX.
Camera di Ottavio.
Ottavio, Rosaura, poi Mingone.
Ottavio. Eccovi in libertà. A me il Governatore non ha ritardata la grazia, affidatosi al carattere mio, che non sa proteggere che con giustizia. Or siete di bel nuovo nella mia casa, ma di qui non si esce, se prima non mi rendete sincero conto di voi medesima.
Rosaura. Signore, non ho mai ricusato di dire tutto quello ch’io so.