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142 | ATTO PRIMO |
Colombina. Perdonatemi. Non lo posso credere. Rosaura è onesta, e se il vero non dico, mi fulmini il cielo.
Ottavio. Dunque Lelio l’avrà rapita.
Colombina. Se così fosse, impetrerei per essa la vostra protezione.
Ottavio. Un’altra volta m’impegnai stamane a proteggerla.
Colombina. Deh, non l’abbandonate.
Ottavio. La farò rintracciare. Se fia possibile, la troverò, e se Lelio l’avrà temerariamente insultata, me ne renderà stretto conto.
Colombina. Che siate benedetto! Il cielo vi feliciti per mille anni.
SCENA IV.
Mingone e detti.
Mingone. Signore, questo viglietto viene a lei. (dà il viglietto e parte)
Ottavio. Leggiamo.
Colombina. (Povera Rosaura! Nelle mani di Lelio?) (da sè)
Ottavio. Chi scrive è Rosaura. (a Colombina)
Colombina. Dov’è? Dove si ritrova? Povera sventurata!
Ottavio. Udite. Signore, sono in carcere e ne ringrazio i Numi, i quali mi hanno preservato da una sventura maggiore. Ricorro a voi, che siete l’unico che possa in questa terra soccorrere un’infelice. Spero che mi userete gli atti della vostra pietà, e non abbandonerete alla disperazione la vostra serva Rosaura. Sentite? (a Colombina)
Colombina. Deh, non tardate a soccorrere la sventurata.
Ottavio. Sì, vado tosto a indagar dal Governatore la causa della sua carcerazione. Farò tutto per renderle assistenza e soccorso, quando ella di ciò sia degna, e tale sia veramente, quale voi me l’avete amorosamente dipinta. (parte)
Colombina. Povera la mia Rosaura! ma più povera me, se torna il vecchio Ridolfo e non la trova più meco! Il povero mio marito è alla campagna e non sa nulla di ciò. Oh, voglia il cielo che vada bene, che Rosaura torni a casa, come era prima; ma lo credo diffìcile. (parte)