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L'INCOGNITA | 125 |
Lelio. Servitor umilissimo. (in atto di partire)
Pantalone. Dove vastu?
Lelio. A provvedermi un alloggio.
Pantalone. Cussì, co sta bella disinvoltura?
Lelio. Così placidamente, senza alterarmi. Vi par molto, eh? che un figlio si senta scacciar dal padre, e non dia quattro cospetti uno più bello dell’altro.
Pantalone. Ah Lelio, ti va in precipizio, e no ti lo sa.
Lelio. Benissimo; se ho d’andare in precipizio, fuori di casa vi anderò più presto.
Pantalone. Ma varda se ti xe una bestia. Varda se ti xe un omo strambo, un omo senza giudizio. Invece de procurar de placarme, invece de pregarme, de sconzurarme che te tegna in casa, no ti ghe pensi, e ti me disi servitor umilissimo?
Lelio. Ho io da inginocchiarmi davanti mio padre, perchè mi dia da mangiare e da dormire? Son vostro figlio, siete obbligato a farlo.
Pantalone. Cussì ti parli a to pare?
Lelio. Io parlo schietto. Non ho paura, quando dico la verità.
Pantalone. Orsù, vame lontan, e vederemo se son obbligà a mantegnirte.
Lelio. Oh, mi manterrete anche lontano.
Pantalone. Anca lontan? Come, cara ela?
Lelio. Col vostro grano, col vostro vino. Ma che dico col vostro grano, col vostro vino? Col mio, col mio. In questi poderi ci ho anch’io la mia parte. Mia madre mi ha partorito in casa, ho da vivere anch’io.
Pantalone. Ben; vederemo quel che te tocca per giustizia, e te lo darò.
Lelio. Eh, che la giustizia io me la fo da me stesso.
Pantalone. Da te stesso?
Lelio. Sì, da me stesso. Se i contadini non vorranno morire bastonati, mi daranno il mio bisogno.
Pantalone. Oh poveretto mi! A sto eccesso ti arrivi? De sta sorte de cosse ti xe capace? Sassinar to pare? Robarghe le