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PAMELA 87

Andreuve. Per carità, lasciatemi pensare un momento.

Bonfil. Sì, pensate.

Andreuve. (Se la sovrana pietà del cielo offre a Pamela una gran fortuna, sarò io così barbaro per impedirla?) (da sè)

Bonfil. (Combatte in lui la pietà, come in me combatte l’amore). (da sè)

Andreuve. (Orsù, si parli, e sia di me e sia di Pamela ciò che destinano i numi). (da sè) Signore, eccomi a’ vostri piedi. (si alza da sedere, e con istento s’inginocchia)

Bonfil. Che fate voi?

Andreuve. Mi prostro per domandarvi soccorso.

Bonfil. Sedete.

Andreuve. Vorrei svelarvi un arcano, ma può costarmi la vita. (si alza, e torna a sedere)

Bonfil. Fidatevi della mia parola.

Andreuve. A voi mi abbandono, a voi mi affido. Andreuve non è il nome della mia casa. Io sono un ribelle della corona Britanna, sono il conte Auspingh, non ultimo fra le famiglie di Scozia.

Bonfil. Come! Voi il conte Auspingh?

Andreuve. Sì, Milord, trent’anni or sono che nell’ultime rivoluzioni d’Inghilterra sono stato uno de’ primi sollevatori del regno. Altri de’ miei compagni furono presi e decapitati; altri fuggirono in paesi stranieri. Io mi rifugiai nelle più deserte montagne, ove con quell’oro che potei portar meco, vissi sconosciuto e sicuro. Sedati dopo dieci anni i tumulti, cessate le persecuzioni, calai dall’altezza de’ monti e scesi al colle men aspro e men disastroso, ove cogli avanzi di alcune poche monete comprai un pezzo di terra, da cui coll’aiuto delle mie braccia il vitto per la mia famiglia raccolgo. Mandai sino in Iscozia ad offerire alla mia cara moglie la metà del mio pane, ed ella ha preferito un marito povero a’ suoi doviziosi parenti, ed è venuta a farmi sembrare assai bella la pace del mio ritiro. Ella dopo due anni diede alla luce una figlia, e questa è la mia adorata Pamela. Miledi vostra madre, che villeggiava sovente