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82 ATTO TERZO

Pamela. Oh Dio! Siete venuto a piedi?

Andreuve. E come poteva io venire altrimenti? Calessi lassù non si usano: montar a cavallo non posso più. Son venuto a bell’agio, e certo il desio di rivederti m’ha fatto fare prodigi.

Pamela. Ma voi sarete assai stanco; andate per pietà a riposare.

Andreuve. No, figlia, non sono stanco. Ho riposato due ore, prima d’entrare in Londra.

Pamela. Perchè differirmi due ore il piacer d’abbracciarvi?

Andreuve. Per reggere con più lena alla forza di quella gioia, cui prevedeva dover provare nel rivederti.

Pamela. Quanti anni sono, che vivo da voi lontana?

Andreuve. Ingrata! Tu me lo chiedi? Segno che poca pena ti è costata la lontananza de’ tuoi genitori. Sono dieci anni, due mesi, dieci giorni e tre ore dal fatal punto che da noi ti partisti. Se far tu sapessi il conto, quanti sono i minuti che compongono un sì gran tempo, sapresti allora quanti sieno stati gli spasimi di questo cuore per la tua lontananza.

Pamela. Deh, caro padre, permettetemi ch’io vi dica non aver io desiderato lasciarvi; non aver io ambito di cambiare la selva in una gran città; e che carissimo mi saria stato il vivere accanto a voi, col dolce impiego di soccorrere ai bisogni della vostra vecchiezza.

Andreuve. Sì, egli è vero. Io sono stato, che non soffrendo vederti a parte delle nostre miserie, ti ho procurata una miglior fortuna.

Pamela. Se il cielo mi ha fatta nascer povera, io poteva in pace soffrire la povertà.

Andreuve. Ah figlia, figlia, tutto a te non è noto. Quando da noi partisti, non eri ancor in età da confidarti un arcano.

Pamela. Oh cieli! Non sono io vostra figlia?

Andreuve. Sì, lo sei, per grazia del cielo.

Pamela. Vi sembra ora ch’io sia in età di essere a parte di di sì grande arcano?

Andreuve. La tua età, la tua saviezza, di cui sono a mia consolazione informato, esigono ch’io te lo sveli.