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486 | ATTO TERZO |
Agapito. Che cosa dicono? (a Merlino)
Merlino. (Son incantato!) (da sè)
Agapito. Come?
Merlino. Non mi rompete il capo.
Pantalone. Le ringrazio infinitamente delle so visite. Le ha sentìo el mal de mia fia; onde no gh’è più bisogno de lori. (ai medici)
Buonatesta. Se vostra figlia è pazza, pazzi non siamo noi. Il polso non falla; il polso era intermittente, balzante e sintomatico. Ciò ditonava ristagno, coagulo, fissazione, la qual fissazione poteva essere prodotta o da una lipothimia, o da una sincope, idest solatio naturæ. Ma sarà stata prodotta dall’orgasmo del cuore, dall’arresto del moto ai precordi, per l’impazienza del preconizzato connubio; onde si verifica l’aforismo d’Ippocrate: Experimentum fallax, et judicium vero difficile; ed è verissimo che i mali delle donne sæpe sæpius vocantur opprobrium medicorum. (parte)
Merlino. Opprobrium medicorum. (parte)
SCENA XVII.
Rosaura, Beatrice, Pantalone, Lelio, Colombina,
dottor Onesti, Agapito e Tarquinio.
Agapito. Che cosa hanno detto? (a Lelio)
Lelio. Siete sordo? (forte)
Agapito. Sordo un corno.
Lelio. Se non siete sordo, avrete inteso.
Agapito. Che?
Lelio. Schiavo vostro. (va dall’altra parte)
Agapito. Padron mio. (Che diavolo sarà! Io non intendo niente). (da sè)
Pantalone. Sior dottor Onesti, za che vedo che mia fia ghe vol ben, che l’era ammalada per causa soa, e che solamente le so nozze la pol varir, son qua con tutto el cuor a offerirghela, se el la vol.