Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1909, V.djvu/498

480 ATTO TERZO

Colombina. (È una malattia, che non le impedisce d’adoperar la lingua). (da sè)

Lelio. Basta, in qualunque maniera voi mi trattiate, soffrirò tutto, attribuendolo al male che v’infastidisce. Io devo attendere il signor Pantalone, per rendergli conto di non aver mancato al debito di servirlo.

Rosaura. Eh, non importa. Farò io con mio padre le vostre scuse.

Lelio. Perdonatemi; so il mio dovere.

Rosaura. Oh Dio! Mi sento venir male.

Lelio. Volete le gocce d’Inghilterra?

Rosaura. Signor no. Lasciatemi in libertà.

Lelio. (Costei sa aver male quando vuole; non le credo e non voglio partire). (da sè)

Colombina. Ma caro signore, quando una donna dice ad un uomo che vuole restar in libertà, la civiltà vorrebbe che se ne andasse.

Lelio. La civiltà non ho da impararla da voi.

Beatrice. Ecco il medico.

Rosaura. Il dottor Onesti? (s’alza con allegria)

Beatrice. No, è il dottor Buonatesta.

Rosaura. Vada al diavolo. (siede)

SCENA XII.

Il dottore Buonatesta e detti.

Buonatesta. Buon giorno a loro signore. Che cosa c’è? Disgrazie? Il signor Pantalone per fortuna mi ha ritrovato. Eccomi qui. Vi aiuterò io, vi soccorrerò io; non morirete no, non morirete. Ditemi, che cosa vi sentite? Avete febbre? Ah? Avete febbre?

Rosaura. (Non gli voglio rispondere, non voglio parlare), (da sè)

Buonatesta. Non rispondete? Avete perduta la parola? Che? Mi vedete? Mi conoscete? Non risponde; ha gli occhi incantati. Signora Beatrice, questa ragazza è quasi morta, ha perduta la parola, non vede, non sente. Io l’aveva detto che il male era grande. Ho conosciuto dal polso che doveva peggiorare; e quel