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470 ATTO TERZO


incerto. Se vedrò col tempo che mi si apra la strada a poter aspirare alle nozze della signora Rosaura, farò conto e della sua bellezza e della sua ricchezza, i quali sono beni, se si acquistano direttamente, sono mali, se si procacciano ingiustamente. (parte)

SCENA II.

Beatrice sola.

Ora sì che la povera Rosaura sta fresca! Credeva di far bene, e ho fatto male. Povera ragazza! Quando sa che il dottor Onesti l’abbandona, ha da dar nei deliri, ha da fare delle pazzie.

SCENA III.

Pantalone e detta.

Pantalone. Siora Beatrice, cossa fa mia fia?

Beatrice. AI solito. Avete incontrato il dottor Onesti?

Pantalone. Siora no; son vegnù su per la scaletta, no l’ho incontrà. Cossa diselo de mia fìa?

Beatrice. Credo non voglia più venire a visitarla.

Pantalone. Ch’el lassa star. No ghe penso nè de lu, nè d’altri miedeghi. No voio altri miedeghi.

Beatrice. Farete bene. La signora Rosaura non ha male.

Pantalone. No la gh’ha mal? Pur troppo la gh’ha mal; ma i miedeghi fin adesso no i l’ha savesto cognosser. Finalmente, grazie al cielo, spero d’aver trovà chi darà la salute alla mia povera fia.

Beatrice. E chi mai?

Pantalone. Do persone me xe sta suggerìo. Mio compare m’ha dito che ghe xe una donna, muier d’un zavatter1, che sa far certo unguento, che onzendo le donne sotto le siòle del piè, le guarisse seguro.

  1. Moglie di un ciabattino. [nota originale]