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LA FINTA AMMALATA | 469 |
Beatrice. E questo non vi pare un partito buono per voi?
Onesti. Sarebbe ottimo, se fossimo in altre circostanze.
Beatrice. Come sarebbe a dire?
Onesti. Se io fossi stato in grado di far chiedere la figlia al signor Pantalone, e di potermi lusingare ch’egli non me la dovesse negare.
Beatrice. Per qual ragione temete ch’egli ve la neghi?
Onesti. Perchè non sono ricco quanto lui, perchè ha qualche impegno con certo signor Lelio, e poi perchè, essendomi io introdotto come medico, crederà ch’io abbia con cattivo artifizio innamorata la figlia,1 si chiamerà da me offeso, e non me la vorrà assolutamente concedere.
Beatrice. Signor dottore, siete troppo scrupoloso.
Onesti. Conosco il mio dovere, e non mi lascio acciecare dall’interesse.
Beatrice. Voi volete veder morire la povera Rosaura.
Onesti. Eh, che per amor non si muore. Ella sarà agitata intanto2 che si lusingherà di poter essere da me corrisposta. S’io lascio di visitarla3, se mi ritiro da questa casa, in capo a otto giorni non si ricorda più di me, guarisce dell’amorosa sua malattia, e si dispone ad accettar per marito il primo che da suo padre le viene offerto.
Beatrice. Dunque volete licenziarvi?
Onesti. Sì assolutamente.
Beatrice. Almeno visitatela un’altra volta.
Onesti. Oh, questo poi no; fintanto ch’io non lo credeva, dava innocentemente degl’incrementi al suo male; ora sarei colpevole se, in vece di curarla, cercassi precipitarla. Signora Beatrice, vi ringrazio; riverite il signor Pantalone, assicurandolo che sua figlia non ha alcun male; procurerò illuminarlo, acciò non creda nè agl’ignoranti, nè agl’impostori. Io non rinunzio pazzamente ad una fortuna4; ma garantisco l’onor mio a fronte di un bene