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468 ATTO TERZO

Onesti. Eccomi ad ascoltarlo: qui nessuno ci sente.

Beatrice. Sappiate, signor dottore, che Rosaura è innamorata.

Onesti. Me ne sono avveduto ancor io.

Beatrice. Ma sapete di chi sia innamorata?

Onesti. Quest’è quello ch’io non so.

Beatrice. Ella è innamorata di voi.

Onesti. Di me?

Beatrice. Sì, di voi.

Onesti. Con qual fondamento potete dirlo?

Beatrice. Credetemi, che me ne sono assicurata.

Onesti. Ve lo ha ella confidato?

Beatrice. No, ma l’ho rilevato da varie circostanze, le quali tutte mi hanno manifestato quello che la buona ragazza non ha coraggio di palesare.

Onesti. È lodabile il suo contegno, assoggettandosi ad una specie di malattia per non palesare la sua passione.

Beatrice. Io credo ch’ella coltivi espressamente il suo male, pel desiderio di avere le vostre visite.

Onesti. E le mie visite saranno quelle che daranno fomento alla sua passione.

Beatrice. Dunque che risolvete di fare?

Onesti. Risolvo di non visitarla mai più.

Beatrice. Odiate forse la signora Rosaura?

Onesti. Io non sono in caso nè di odiarla, nè di amarla.

Beatrice. Sprezzerete un’eredità doviziosa, come quella del signor Pantalone?

Onesti. Certamente ella non è cosa da disprezzarsi, ma io sono stato da lui chiamato per curargli la figlia, e non per esibirgli un genero.

Beatrice. Potete far l’uno e l’altro nel medesimo tempo.

Onesti. No, signora Beatrice, non posso farlo. La mia onestà non lo vuole.

Beatrice. Siete voi nemico del matrimonio?

Onesti. No certamente; anzi per gl’interessi della mia casa, essendo io solo, mi converrà prender moglie.