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PAMELA 35

Bonfil. No, amico. In questo punto bramava anzi una distrazione.

Artur. Vi farò un discorso, che probabilmente sarà molto distante dal pensiere che vi occupava.

Bonfil. Vi sentirò volentieri. Beviamo il tè. Ehi. Isacco. Signore?

Bonfil. Porta il tè. (Isacco vuol partire) Ehi, porta il rak1. (Isacco via) Lo beveremo col rak.

Artur. Ottima bevanda per lo stomaco.

Bonfil. Che avete a dirmi?

Artur. I vostri amici, che vi amano, bramerebbono di vedervi assicurata la successione.

Bonfil. Per compiacerli mi converrà prender moglie?

Artur. Sì, Milord. La vostra famiglia è sempre stata lo splendore di Londra, il decoro del Parlamento. Gli anni passano. Non riserbate alla sposa l’età men bella. Chi tardi si marita, non vede sì facilmente l’avanzamento de’ suoi figliuoli.

Bonfil. Finora sono stato nemico del matrimonio.

Artur. Ed ora come pensate?

Bonfil. Sono agitato da più pensieri.

Artur. Due partiti vi sarebbero opportuni per voi. Una figlia di milord Pakum, una nipote di milord Rainmur.

Bonfil. Per qual ragione le giudicate per me?

Artur. Sono ambe ricchissime.

Bonfil. La ricchezza non è il mio nume.

Artur. Il sangue loro è purissimo.

Bonfil. Ah, questa è una grande prerogativa! Caro amico, giacchè avete la bontà d’interessarvi per me, non vi stancate di parlar meco.

Artur. In questa sorta di affari le parole non si risparmiano.

Bonfil. Ditemi sinceramente: credete voi che un uomo nato nobile, volendo prender moglie, sia in necessità2 di sposar una dama?

Artur. Non dico già che necessariamente ciascun debba farlo; ma tutte le buone regole insegnano, che così deve farsi3.

  1. Bett.: l’arac; Pap. e Pasq. in questa sola scena: il rach.
  2. Bett. e Pap.: abbia necessità.
  3. Bett.: che così si faccia.