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punto le meschine ragioni del Diderot (Année littéraire 1761, V, pp. 15, 16). Altri parecchi vennero in aiuto chi al plagiario, chi al derubato, in Francia e fuori (De La Porte. Observations in Diderot. Théatre. 1771 e Journal encyclopédique, 1758, VIII, pp. 123, 124 [danno tutte le ragioni al Did. e rincalzano gli insulti]; in difesa del Goldoni Mém. secrets, cit. dall’Assézal nella premessa al Père de famille. Did. Oeuvr. compl. Paris. Garnier, 1875, vol. VII). A Vienna Josef Sonnenfels, un Baretti extra muros, scrivendo del V. a. che si recitava colà nel 1768, non nega il plagio troppo evidente, ma il lavoro del Nostro gli sembra un pezzo di marmo del quale un malcapitato scalpellino abbia cercato indarno di fare una Venere, mentre il dramma diderotiano e per lui una statua perfettissima da adorare nel tempio di Guido (Briefe über die Wienerische Schaubühne [1768]. Wien, 1884, p. 58). In Francia neanche oggi i pochi costretti a trattare del plagio, sanno essere imparziali. Ammette il Rabany (op. cit. p. 335) che Diderot debba al Goldoni solo l’idea del suo dramma. Meno ancora concede l’Assézat (Did. ediz. e loco cit.) citando a sproposito lo stesso autore del V. a. a prova che plagio non vi fu. Anzi, per tagliar corto, con impagabile disinvoltura avverte: «Nel 1758 il G. non era per il D. altro che uno straniero che gli opponevano e ch’egli, secondo i suoi oppositori, aveva derubato; e non aveva ragione alcuna d’esser amabile con lui». Ossia con gli stranieri, ci sieno ragioni o no, è sempre lecito esser villani.

Le Memorie (p. III, cap. V)Memorie di Carlo Goldoni, più recisamente che la Premessa (l’A. a chi legge), lasciano intendere che l’accusa di plagio non era infondata. Dionigi Diderot era morto nell’84! Là il G. descrive la sua visita all’enciclopedista, che a questi dovette parere (e altro non era) un atto di deferenza, sa Dio quanto fuor di luogo, e ad altri sembrò anche un’abile mossa diplomatica. (Toldo. Did. e il «Burb. ben.» Aten. Ven. 1907, num. gold., p. 67). Più tardi Did., a proposito del Burbero, trattò il Nostro, sempre da maestro a scolare, s’intende, ma coi modi che la buona educazione consiglia (Neri. Aneddoti contemporanei intorno al B. ben. Bibl. d. scuole it. 1893; Toldo. artic. cit.). Si vedano in proposito anche le buone osservazioni di Maria Ortiz [Giorn. stor. 1908, voi. LII, p. 150] che rimprovera al Toldo soverchia cortesia verso l’enciclopedista.

Non fu il grande strepito causato dal plagio diderotiano che consigliò al G. il silenzio sullo scenario del Riccoboni da lui sfruttato? Nella premessa dell’ediz. Paperini (vol. IV, p. 68) avverte che la folla degli affari non gli concedeva di diffondersi a ragionare del V. a. Forse con la consueta sincerità avrebbe rimediato nell’Ediz. Pasquali o nelle Mem., ma scoperto il plagio del Fils naturel, confessando egli a sua volta, non avrebbe dato agli avversari ottima occasione di ritorcere le accuse? In ogni caso va notato che l’identità della favola tra la Force de l’amitié e il dramma del Diderot non era sfuggita né al compilatore dell’Histoire du th. it. (cit., voi. I, p. 169), né al Cailhava, il quale riproduce tutto l’estratto (De l’art. de la comédie, 1772, vl. VI, cap, IV, p. 317).

Men noto e di minore importanza è un altro plagio a danno del V. a., opera dello scrittore croato Matija Jandric nel suo Lyubomirovich ili priatel pravi (1821), scoperto e minutamente analizzato da Gjuro Surmin (Vienac,