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Lelio. Via, cara, in segno d’amore e di fedeltà, porgetemi la mano.

Rosaura. Sì, eccola. Il signor Florindo m’insegna farlo. S’egli non mi ha amato, non devo penare a lasciarlo. Se mi ha amato, e per virtù mi lascia, non devo esser meno forte di lui. Se pena e tace, nasconderò anch’io il mio dolore. In ogni guisa, Lelio, sarò vostra sposa. Eccovi la mia mano, con essa acquistate ragione sulla mia eredità; se avrete discrezione e prudenza, acquisterete col tempo tutto il possesso di questo cuore.

Lelio. Sì, spero farmi degno del vostro cuore. (Per ora non è piccolo acquisto quello delle sue ricchezze). (da sè)

Beatrice. Cognata, mi congratulo con voi.

Rosaura. Ed io con voi.

Beatrice. Io sono stata sposata per compassione.

Rosaura. Ed io prendo marito per necessità.

Florindo. Signora Beatrice, andiamo a Venezia subito, perchè per dirgliela, a Bologna non ci sto bene. La bella lezione di morale che ho fatto alla signora Rosaura, potrebbe esser distrutta da una ragione fisica. Lelio mio, vi domando perdono, se incautamente v’ho offeso. Domando perdono alla signora Rosaura, se troppo debolmente con lei ho trattato. Consorte cara, questo cuore è vostro; ma con vostra buona licenza, permettetemi che a queste due persone gliene lasci un poco per uno. Vado via senza una porzione del cuore, e in luogo di essa ho sostituito una marca d’onore, la quale farà conoscere al mondo i doveri del Vero Amico.