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SCENA XXIV1.

ROSAURA e detti.

Rosaura. Ah signor Florindo, ah signor Lelio, il povero mio genitore è morto.

Florindo. È morto? (Amico, meglio per voi). (a Lelio)

Lelio. È morto? Chi ha le chiavi dello scrigno? (a Rosaura)

Rosaura. Povero sventurato! Trappola è stato il suo carnefice. Oimè! Sento spezzarmi il cuore.

Florindo. Signora Rosaura, compatisco il dolore che l’affligge per la morte del padre. La natura s’ha da sfogare; ma mi dia licenza che le faccia un piccolo discorsetto. Noi altri in questo mondo ci fabbrichiamo il nostro destino, e per lo più i nostri medesimi vizi ci gastigano, ci danno la morte. L’avarizia del signor Ottavio è stata causa che un servitore, scoprendo il tesoro, abbia cercato di rubarlo, e questo furto è stato il motivo della sua morte, onde è morto per causa dell’avarizia, e il cielo, per gastigarlo di questo difetto, si è servito del suo difetto medesimo. Osservi dunque che i danari non vagliono niente, che la vita è attaccata a un filo; tutto finisce, tutto si lascia, e quel che resta per noi è2 quel che ci fa felici e contenti, è il vivere onesto, le buone azioni, la virtù, per saper superar le proprie passioni. Ella adesso è ricca, ma queste ricchezze possono sparire da un momento all’altro; ella è giovine, ella è bella, ma tutte cose che passano e finiscono. Il cielo le offerisce in questo momento una bella occasione d’esercitare la sua prudenza, la sua virtù, la sua rassegnazione. Osservi, obbligato dalla parola d’onore, dalla gratitudine, dal dovere, io ho sposato la signora Beatrice; onde è superfluo, che sopra di me continui a fondare nessuna delle sue speranze. Ella mi dirà, come da un momento all’altro ti sei cambiato? Mi burlavi, quando mi dicevi di volermi sposare; o sei un uomo il più volubile di questo mondo? Rispondo: Non la burlavo, non

  1. Vedi a p. 381.
  2. Così nel testo. Meglio: per noi, e quel.