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ATTO TERZO.

SCENA VII1.

Rosaura, poi Beatrice.

Rosaura. Quanto più cara mi sarebbe l’eredità di quell’oro, se goderla potessi unitamente al mio caro Florindo.

Beatrice. Amica, compatitemi.

Rosaura. A voi chiedo scusa, se vi ho fatto aspettare. Ero mezza spogliata.

Beatrice. Via, via, una piccola bugia si passa. Anch’io ne dico qualcheduna.

Rosaura. Perchè mi accusate di bugiarda?

Beatrice. Perchè dalla portiera ho veduto che non è vero.

Rosaura. Ed io ho detto quella bugia, per rilevare se siete di quelle che si compiacevano2 di essere soverchiamente curiose.

Beatrice. Orsù. Io non voglio rispondervi, non voglio riscaldarmi. Siamo amiche, abbiamo a esser cognate, e vengo a parteciparvi una mia vicina consolazione.

Rosaura. Sì? Avrò piacer di saperla.

Beatrice. Vi ha detto nulla mio fratello?

Rosaura. Non so di che vogliate dire.

Beatrice. V’ha egli detto ch’io sono sposa?

Rosaura. (Ah, pur troppo è la verità!) (da sè) Mi ha detto qualche cosa.

Beatrice. Bene, io vi dirò che il signor Florindo finalmente mi si è scoperto amante, e che quanto prima sarà mio sposo.

Rosaura. Me ne rallegro. (con ironia)

Beatrice. Credetemi che io di ciò sono contentissima.

Rosaura. Lo credo. Ma vi vuol veramente bene il signor Florindo?

Beatrice. Se mi vuol bene? M’adora. Poverino! Un mese ha penato per me. Finalmente non ha potuto tacere.

  1. Vedi a p. 361.
  2. Così nel testo.