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IL VERO AMICO 371

Rosaura, se la di lei situazione non vi dispiace, sposatela, ch’io son contento.

Florindo. Ma penerete voi a lasciarla?

Lelio. Mia non può essere. O di voi, o d’un altro sarò forzato vederla1.

Florindo. Quand’è così...

Lelio. Sì,2, sposatela voi.

Florindo. E vostra zia3, che cosa dirà?

Lelio. Dirà che troppo si è lasciata da un equivoco lusingare.

Florindo. Signor Lelio, badate bene che non ve ne abbiate a pentire.

Lelio. Non sono più in questo caso.4

SCENA XIV.

Ottavio e detti.

Ottavio. Signori miei, che fanno a quest’ora? Lo sanno che sono ormai due ore di notte? I lumi si consumano inutilmente, ed io non ho danari da gettar via.

Lelio. Caro signor Ottavio, abbiamo a discorrer con voi di un affare che vi darà piacere: di una cosa che vi può rendere del profitto5.

Ottavio. Lo voglia il cielo, che ne ho bisogno. Aspettate. Smorziamo una di queste candele, il troppo lume abbaglia la vista. (spegne un lume)

Lelio. Ho6 da parlarvi a proposito di vostra figlia.

Ottavio. Di mia figlia parlate pure; basta che non si parli di dote.

Lelio. Io, come sapete, non sono in caso di prenderla senza dote.

  1. Pap.: o d’un altro sarà.
  2. Pap.: Sì, quando è così.
  3. Pap.: sorella.
  4. Segue nell’ed. Pap.: «Fior. Stimo la vostra amicizia soprattutto. Se per voi lascio l’amante, lascio la vita, se occorre. Lel. Quanto più mi siete amico, tanto più vi cedrò volentieri sposar Rosaura. Fior. (L’amicizia è bella e buona, ma subito che l’ho sposata, la conduco via). da sè».
  5. Pap. ha invece: a discorrer con voi di un affare che vi darà gusto. E segue: «Ott. Io ho finito d’aver gusto; niente più mi diletta. Lel. È una cosa questa, che vi può rendere del profitto. Ott. Lo voglia ecc.».
  6. Pap.: Signor Ottavio, ho ecc.