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350 ATTO SECONDO

Rosaura. Ma se si trovasse qualche rimedio facile e sicuro per far che Lelio mi1 rinunciasse, sareste in grado d’accettar la mia mano?

Florindo. È superfluo il figurarsi cose così lontane.

Rosaura. Favoritemi: sedete per un momento.

Florindo. Bisogna che vada via, signora.

Rosaura. Questa sola grazia vi chiedo, ed avrete cuor di negarmela? Sedete per un poco, ascoltatemi, e poi ve ne andrete.

Florindo. (Ci sono, bisogna starvi). (da sè, e siedono)

Rosaura. Spero, mediante la confidenza che vi farò delle cose domestiche della mia casa, aprirvi il campo di sperare ciò che or vi sembra diffìcile. Sappiate che mio padre...

SCENA XVIII.

Lelio e detti.

Lelio. Oh! amico, ho piacere di qui ritrovarvi.

Florindo. Era qui... per voi, signor Lelio, per cercar di voi. (s’alza)

Lelio. State fermo, non v movete.

Rosaura. Signor Lelio, entrare senz’ambasciata mi pare troppa confidenza.

Lelio. È una libertà che la sposa può donare allo sposo.

Rosaura. Questa libertà qualche volta non se la prendono ne tampoco i mariti.2

Florindo. Mi dispiace che per causa mia...

Lelio. No, niente affatto. Io prendo per bizzarrie i rimproveri della signora Rosaura. Signora, vi contentate che sieda ancor io?

Rosaura. Siete padrone d’accomodarvi.

Lelio. Vi prenderemo in mezzo. Florindo ed io siamo due amici che formano una sola persona; volgetevi di qua e volgetevi di la, è la stessa cosa.

Rosaura. Se è lo stesso per voi, non è lo stesso per me.

  1. Pap.: a voi mi.
  2. Segue nell’ed. Pap.: «Lel. Certo, non si prendono lai libertà colla moglie quei mariti che hanno riguardo a dar soggezione. Fior. Mi dispiace ecc.».