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348 | ATTO SECONDO |
Ottavio. Lelio vuol la dote.
Rosaura. Basta, ne parleremo.
Ottavio. Ora che mi è venuto questo pensiero nel capo, non istò bene se non ci do dentro.
SCENA XIV.
Colombina e detti.
Colombina. Signora, il signor Florindo desidera riverirvi.
Rosaura. Il signor Florindo?
Ottavio. Ecco la quaglia venuta al paretaio.
Rosaura. Digli che è padrone.
Colombina. Ora lo fo passare.
Ottavio. Eh! ti ha donato nulla?
Colombina. Che cosa volete sapere voi?
Ottavio. Bene, bene, a conto di salario.
Colombina. Se non mi darete il salario, me lo prenderò.
Ottavio. Come? Dove?
Colombina. Da quel maledettissimo scrigno. (parte)
SCENA XV.
Ottavio e Rosaura.
Ottavio. Che scrigno? Io non ho scrigno. Una cassa di stracci, una cassa di stracci. Maledetto sia chi nomina lo scrigno; maledetto me, se ho denari.
Rosaura. Via, quietatevi, non vi riscaldate.
Ottavio. Colei mi vuol far crepare.
Rosaura. Ecco il signor Florindo.1
Ottavio. Digli qualche buona parola; se ha inclinazione per te, fa che mi parli; io poi aggiusterò la faccenda. Spero che ti mariterai senza dote, e che tuo marito farà le spese anche a me. (parte)
- ↑ Il resto di questa scena, com’è nell’ed. Paperini, vedasi in Appendice.